La prima lira della storia italiana, 1472

VENEZIA , IL DOGE NICCOLO’ TRON E LA PRIMA LIRA

 

Non è un caso se la prima moneta da 1 lira della storia nummaria italiana, la “lira Tron”, abbia avuti i natali, nel maggio 1472, a Venezia, in quella Serenissima Repubblica che per molti secoli detenne primazia di rilievo europeo e manifestò splendori, diventando trait d’union tra Oriente e Occidente, crocevia dei traffici commerciali nel Mediterraneo, regina incontrastata dell’Adriatico e delle coste dall’Egeo fino a Costantinopoli. 

Alla base di questa affermazione di una città-repubblica che, per caratteristiche geo-morfologiche e urbanistiche e mirabilità di tessuto architettonico e ricchezza del patrimonio artistico ancor oggi non ha eguali nel pianeta, figura una combinazione tra l’eccezionalità del suo ordinamento politico, singolare fusione tra monarchia (il Dogado), aristocrazia (il Senato) e democrazia (il Maggior Consiglio). Uno dei tratti distintivi della Repubblica di Venezia è stato la sua capacità di una costante ridefinizione, seguendo il cambiamento dei tempi, del suo complesso corpus legislativo e istituzionale, che le ha consentito di diventare prima una potenza marinara e poi, grazie anche alla sua organizzazione militare, un impero coloniale e «di confrontarsi su un piano di parità con gli altri Stati europei e con la Chiesa di Roma» (cfr. R. Calimani, Storia della Repubblica di Venezia, Mondadori, 2019).

Venezia, edificata nel V secolo, probabilmente da popoli in fuga dalle invasioni barbariche – di non chiara provenienza, forse dalla lontana Illiria, ma forse apparentati con i Romani, per quanto fossero presenti insediamenti in epoca preromana –, che trovarono riparo, nel suo arcipelago, ebbe una parabola di straordinaria ascesa e, nei millecento anni di storia della sua Repubblica, dal XVII secolo Serenissima Repubblica, fu capitale, oltre che di commerci, anche di cultura. È stata, infatti, calamita per architetti, pittori, letterati e compositori e, nel Cinquecento, dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, divenne la capitale mondiale del libro. 

Come ha osservato il cronachista medievale Leonardo Giustiniani, Venezia fu la più libera o si potrebbe dire liberale delle città italiane dell’epoca, senza mura, ma solo attorniata da laguna e mare, senza guardie di palazzo, a parte gli operai dell’Arsenale Maggiore, nessuna piazza d’armi per le esercitazioni e le parate militari, e con un ordinamento carcerario che poneva attenzione alla dignità delle condizioni dei detenuti. Con la sua peculiarità, la garanzia di essere protetta dalle sue acque, e la conseguente e favorevole condizione di isolamento, Venezia poté sviluppare originali processi di aggregazione sociale e di maturazione politica, con forme sempre più accentuate di autogoverno. 

In questo singolarissimo contesto, non stupisce che, sull’onda di un periodo storico, quello tra il XIII e il XIV secolo, in cui Venezia toccò il culmine della sua espansione, giungendo a governare, oltre a gran parte dell’Italia nord-orientale, Istria, Dalmazia, le coste dell’attuale Montenegro e dell’Albania, numerose isole del mar Adriatico e dello Jonio orientale, anche il Peloponneso, Creta e Cipro, parte delle isole greche e diverse città e porti del Mediterraneo orientale, sia nata l’idea di dare corpo, forma e sostanza a una valuta, la lira, il cui concetto esisteva già da secoli, ma si limitava a essere solo una «pura unità di conto», una sorta di «moneta fantasma» insomma, virtuale si direbbe oggi (cfr. C. M. Cipolla, Le avventure della lira, il Mulino, 2012). 

Il termine lira, è un’allitterazione di libbra (fonema che, a sua volta, deriva da libram, ossia bilancia) un peso che, in epoca romana, coincideva all’incirca a 320-327,45 dei nostri grammi e che già allora aveva un legame di parentela con il sistema monetario, diventando l’unità di misura fondamentale per il peso delle monete (cfr. “Speciale cronaca numismatica”, luglio-settembre 2003). In termini generali, nel corso del tempo, specialmente con la riforma di Carlo Magno tra il 781 e il 794, che introdusse il monometallismo argenteo, mentre prima l’unità monetaria principale utilizzata era il soldo d’oro e le sue frazioni, i tremissi, si consolidò la pratica di coniare monete in argento, di cui le zecche dovevano consegnare 240 pezzi per ogni libbra d’argento ricevuta. Il denaro d’argento, insomma, erede del denaro di Roma antica, divenne l’unica moneta a corso legale. Una libbra d’argento equivaleva a 240 denari, 12 denari a 1 soldo, 20 soldi a una libbra, ossia a 1 lira. 

In un contesto in continua evoluzione, legato all’andamento delle economie in un’Italia medievale divisa e contraddistinta da un guazzabuglio di divise monetarie, e nella quale si faceva anche ampio ricorso al baratto e alla regolazione di scambi commerciali attraverso merci, come cavalli, gioielli, armi, il concetto di lira divenne sempre più utilizzato e conosciuto, giacché quelli erano tempi nei quali era ancora forte la tensione all’equivalenza tra un valore anche simbolicamente monetario e quello di un bene materiale raro e pregiato, fosse stato oro o argento. 

Ma poiché, nel 1472, nessuno aveva ancora pensato a dare corpo al concetto di lira, materializzandolo in una moneta vera e propria, fu proprio il Governo di Venezia, attraverso il Consiglio dei Dieci, così chiamato perché costituito da 10 membri eletti dal Maggior Consiglio, cui si aggiungevano il Doge e i suoi consiglieri ducali, a decidere di coniare la prima moneta da 1 lira. La prima lira della storia, denominata trono ma oggi comunemente conosciuta come lira Tron, fu firmata ed effigiata dal doge Niccolò Tron.

 

Chi era Niccolò Tron

 

Nacque da Luca Tron e da Lucia Trevisan. Della sua gioventù si hanno poche informazioni ma è noto come si dedicasse con passione ed abilità all’arte della mercanzia, riuscendo in pochissimi anni ad accumulare un ingente capitale (circa 90.000 ducati secondo alcune fonti).

Dopo numerosi viaggi in Oriente (Egitto e soprattutto Rodi) acquistò case e botteghe che gli consentirono sempre di vivere una vita agiata e comoda. Gran parte di questa ricchezza gli derivò dall’attività di mercatura che egli esercitava per conto della Serenissima.[2]

Solo in età avanzata entrò nella carriera pubblica dove si distinse per la sua abilità e l’estrema cura degli interessi a lui affidati. Ebbe numerose cariche pubbliche: da ambasciatore presso il Papa Paolo II, a consigliere del doge Cristoforo Moro, savio del Maggior Consiglio e Podestà di Padova. Il 12 aprile 1466 venne nominato Procuratore di San Marco e il 25 novembre 1471 venne eletto sessantottesimo doge della Serenissima Repubblica di Venezia, al nono scrutinio e con il minimo del quorum; all’età di settantuno anni.

I festeggiamenti per il suo insediamento furono particolarmente fastosi con elargizioni di denaro e cibo non solo al popolo ma anche a chierici e canonici. Il primo impegno del doge fu quello di risanare le casse dello Stato che si trovavano sull’orlo della bancarotta a causa delle perdite in battaglia contro i turchi. Con il suo nome furono coniati nuovi tipi di monete in argento (la cosiddetta lira Tron con la relativa mezza lira e il bagattino di rame), recanti tutte l’effigie del Doge, fatto che suscitò aspre reazioni e che venne in seguito proibito a partire dal Doge successivo. A tal riguardo la cronaca riportò molta soddisfazione sull’operato del doge che nel maneggio del denaro era sempre stato molto abile. Non furono toccate le fasce di popolazione meno abbienti ma fu introdotta invece una imposta sui patrimoni più consistenti.

Il dogato di Nicolò Tron fu breve ma intenso e durò venti mesi; la tragica perdita del figlio che fu ucciso dai turchi lo segnò profondamente. Egli proseguì la guerra contro i turchi che tentavano d’insidiare le colonie veneziane in Oriente (la guerra fu iniziata sotto il doge Cristoforo Moro nel 1463 e si sarebbe conclusa soltanto nel gennaio 1479 sotto il dogato di Giovanni Mocenigo).

Per allentare la pressione contro gli insediamenti veneziani vennero spediti ambasciatori presso il re della Persia Ussan Hassan (1473) nella speranza che così si aprisse un secondo fronte alle spalle della Turchia ma, in realtà, queste manovre ebbero scarso frutto e presto Ussan venne sconfitto.

Nel 1471, il doge e il senato della Repubblica, nel respingere l’assalto dei turchi che stavano assalendo le colonie veneziane, presero una decisione molto discussa all’epoca; costruire nuove galee prendendo i roveri dalla collina del Montello. E così i senatori votarono (anche il voto del doge viene al pari di quello dei senatori e nulla più) e i roveri del Montello giungevano all’Arsenale attraverso il fiume Piave.

Lira Tron o Trono è il nome con cui viene comunemente denominata la Lira emessa dal doge Nicolò Tron nel 1472 e incisa da Antonello della Moneta. È comunemente considerata la prima lira emessa in Italia. Era d’argento, pesava 6,52 grammi con un titolo di 0,948 e valeva 20 soldi, ognuno da 12 denari. Servivano quindi 240 denari per una lira.

Statua del doge nel Monumento Tron, Presbiterio, Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia

Nicolò Tron, morirà il 28 luglio del 1473 a Venezia e fu sepolto nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari di Venezia nel monumento funerario alto 12 metri opera dell’artista veronese Antonio Rizzo; fu il primo doge ad essere rappresentato anche in piedi meritando così una gloria imperitura oltre al dogato.

Il percorso di Venezia verso la coniazione della prima lira della storia italiana

In seguito alla riforma monetaria di Carlo Magno, anche a Venezia, nel IX secolo, iniziò a circolare il denaro d’argento. I primi denari veneziani d’argento, portavano il nome dell’imperatore carolingio Ludovico il Pio, con la specificità che su rovescio figurava l’incisione Venecias. La data precisa in cui Venezia iniziò a battere moneta è incerta e i denari carolingi che portavano il nome della città lagunare furono forse coniati, almeno in parte, a Pavia, o in altra zecca imperiale. A queste monete seguirono quelle degli imperatori e re d’Italia, Corrado II di Franconia ed Enrico III, IV e V. È invece certo che fu il 38° doge di Venezia, Vitale Michiel II, in carica dal 1155 al 1172, l’ultimo a essere nominato per designazione, a inaugurare la sequenza degli 83 dogi che, dal 1152 al 1797, coniarono monete (cfr. Vittorio Emanuele III di Savoia, Corpus Nummorum Italicorum, volume VII, “Veneto”, Tipografia della Regia Accademia dei Lincei, 1915). A Venezia dunque, probabilmente già dal IX secolo era attiva una zecca, a Rialto, da cui venne trasferita nel 1277 a San Marco, dove, verso la metà del ‘500 fu insediata nello splendido edificio in pietra d’Istria con 40 arcate, progettato da Jacopo Sansovino, oggi sede della Biblioteca Nazionale Marciana, affacciato sul bacino di San Marco. Le ragioni di quel trasferimento logistico della zecca, tra le più prolifiche e importanti della penisola nella coniazione di monete, furono legate al fatto di renderne più agevole il controllo da parte del Maggior Consiglio, il supremo organo politico della Repubblica di Venezia, costituito da componenti di famiglie patrizie e cui spettava la nomina del Doge. La supervisione sull’attività della Zecca e il suo governo erano affidati, sin dal Duecento, alla Quarantia o “Consiglio dei Quaranta”, che era anche Tribunale supremo e, nello specifico, curava la definizione del titolo delle monete e della qualità del conio, oltre alla preparazione di piani economici e di politica monetaria da sottoporre al Maggior Consiglio. Il 10 luglio 1310, con il dogado di Pietro Gradenigo, fu istituito il Consiglio dei Dieci, formato appunto da dieci membri eletti annualmente dal Maggior Consiglio e uno dei massimi organi di governo della Repubblica, con funzioni di governo materiale della Zecca ed esso rimase in vita fino al ‘500, quando una riforma affidò questa funzione a varie magistrature specifiche (i Governatori di Zecca, il Depositario, i Provveditori sopra ori e monete, l’Inquisitore aggiunto, il Provveditore agli Ori e Argenti, il Conservatore del Deposito e i Massari all’Argento e all’Oro). Fu proprio il Consiglio dei Dieci, il 27 maggio 1472, a formalizzare la decisione, a conclusione di una non facile e aspra discussione per decisioni di politica monetaria, di coniare la prima moneta da 1 lira della storia, ossia di dare finalmente materia e forma a quell’unità di conto di cui già dall’età romana si parlava, senza peraltro mai vederla tradotta in moneta. 

Dall’avvio della monetazione dogale, come si è detto con il doge Vitale Michiel II, accanto alla moneta d’oro di Bisanzio, cui si ricorreva soprattutto per operazioni commerciali di una certa entità, ebbe inizio un’intensificazione della coniazione di monete d’argento e di buona fattura che, a differenza di altre monete utilizzate dai mercanti veneziani, resistessero maggiormente alla svalutazione. I ducati veneziani ebbero vasta circolazione nel mondo dell’epoca, ma con il dogado di Enrico Dandolo in carica dal 1192 al 1205, noto per aver posto le basi, con la riconquista di Zara e la presa di Costantinopoli, dell’impero coloniale veneziano, fu emessa una nuova moneta argentea, il grosso o matapàn, del valore di 26 piccoli, che sopravvisse circa un secolo e mezzo e diventò moneta preponderante nel commercio. Esso presentava incisa sul diritto San Marco con il Doge e sul rovescio un Gesù Cristo iconico. Nei secoli successivi fino al XV, il rapporto di valore tra monete d’oro e d’argento fluttuò, fu registrato il pericolo di fuga dei grossi d’argento e coniato un profluvio di nuove monete. Inoltre, a Venezia, sussisteva il fenomeno della falsificazione delle monete e della loro tosatura e circolavano altresì monete straniere ed erano previste condanne severissime per quanti fossero pescati a introdurre nella Repubblica monete tosate, false o danneggiate e si decretava la proibizione della circolazione di monete in oro e argento con titolo inferiore di quello delle monete veneziane. In questo contesto, nel quale ancora il denaro era strettamente vincolato al valore intrinseco del metallo con il quale veniva prodotto, e con un disordine monetario sempre incipiente data la frequenza degli scambi commerciali con mercanti provenienti da altri Stati, il Consiglio dei Dieci, decise di mettere ordine anche riguardo al rapporto tra titolo del metallo, suo peso e valore della moneta, materializzando e attualizzando, secondo i criteri monetari del momento, l’antico, mai concretamente espresso in una moneta, concetto di lira, e coniando quella moneta denominata trono o lira da 20 soldi ((cfr. Vittorio Emanuele III di Savoia, Corpus Nummorum Italicorum, volume VII, cit.), passato alla storia come “lira Tron”. Quando la “lira Tron” fu coniata, nel 1472, era in carica il doge Niccolò Tron, che fu doge di Venezia dal 25 novembre 1471 al 28 luglio 1473. Alla “lira Tron”, in argento, fu dato il peso legale di 31,5 carati, corrispondente a 6,521 grammi, di modulo largo 28-29 millimetri. La moneta, al diritto raffigura il ritratto del doge Niccolò Tron («Nicolaus Tronus Dux») a pieno busto, di profilo volto a sinistra, con sul capo il corno ducale. Sul rovescio, la raffigurazione del leone di San Marco, al centro di un serto di alloro, simbolo di trionfo e durevolezza.         

Immaginiamoci dunque Venezia dell’epoca con la prima lira, e capiremo l’importanza della sua Lira Tron.